Dopo l’ultima telefonata fra i due, che ha avuto luogo qualche giorno fa, ha fatto piuttosto discutere la dichiarazione di risentimento esternata da Trump nei confronti di Putin.
Trump si lamenta del fatto che la Russia non fa concessioni – in particolare riguardo al richiesto cessate il fuoco - e continua la sua Operazione militare speciale nella ormai ex Ucraina.
Una lamentela ribadita in data odierna, accompagnata da minacce di nuove sanzioni.
Ma Mosca quali garanzie ha ottenuto che Trump e i suoi sottoposti paesi europei non intendono approfittare di una tregua per riorganizzare le forze della NATO in Ucraina – in netta difficoltà militare - e ripartire con le ostilità?
Nessuna.
Tutti i capi politici del mondo conoscono benissimo quali sono le condizioni poste dalla Russia per addivenire alla cessazione delle ostilità in ciò che resta dell’Ucraina.
Le conosce benissimo Macron, che all’inizio del 2022 andava e veniva dal Cremlino – dove incontrava Putin -, le conosce benissimo Trump – così come il suo predecessore Biden – le conosce la Commissione europea, e via discorrendo.
Macron al Cremlino, 8 febbraio 2022
Si tratta delle soluzione delle cause che sul terreno ucraino hanno dapprima originato la crisi fra Usa/Occidente e Russia e, in seguito, una guerra vera e propria.
Tutti sapevano dall’aprile del 2008 – quando si tenne il vertice della NATO a Bucarest – che Mosca era contraria all’entrata dell’Ucraina (e della Georgia) nell’alleanza militare del nord-Atlantico. Ma, nella capitale rumena, il comunicato ufficiale finì per contenere proprio questo intento.
Come è ben noto, in quell’occasione Putin aveva dichiarato apertamente dinanzi ai capi di stato e di governo presenti la contrarietà della Federazione russa a un simile percorso.
Eppure, a più riprese, i paesi occidentali hanno intrapreso azioni volte all’integrazione di Kiev nella NATO (e, di conseguenza, alla sua integrazione nell’ambito dell’influenza e degli interessi del capitale occidentale). Finanziamenti, forniture di armamenti, addestramento, esercitazioni militari congiunte (fino alla cosiddetta ‘interoperabilità’). Di fatto, col tempo, la NATO è entrata in Ucraina, pur in mancanza dell’adesione formale.
Il tentativo occidentale di strappare l’Ucraina allo storico rapporto con la Russia si era già palesato almeno nel 2004 – 2005 (cosiddetta rivoluzione arancione/colorata) ma – anche facendo leva su ferventi movimenti ultranazionalisti - il culmine è stato raggiunto nel 2014, con il rovesciamento violento del Presidente Yanukovich (reo per gli occidentali di non supportare con decisione un accordo di cooperazione con l’Unione europea).
A quel punto, le popolazioni russofone e russofile della Crimea e delle regioni del Donbass – da sempre favorevoli al mantenimento del legame con la Russia – si sono dichiarate indipendenti. E Mosca ha direttamente fatto occupare la Crimea – annessa inoltre con un referendum – dove è di stanza la flotta navale russa. (Mai, Mosca, avrebbe potuto ammettere che Sebastopoli divenisse una base della NATO sul Mar Nero).
Poco dopo, il governo centrale di Kiev ha inviato l’esercito – con tanto di artiglieria – a sopprimere i separatisti russi del Donbass.
È iniziata una guerra civile che ha visto contrapposti il governo ucraino, sostenuto dall’Occidente, e le repubbliche autoproclamate dell’est-Ucraina, sostenute dalla Russia.
Nonostante gli accordi di Minsk del 2015 – che dovevano porre fine al conflitto – le ostilità armate sono proseguite per otto anni. (Probabilmente per responsabilità di ambedue le fazioni).
Intanto, nel 2019, l’Ucraina ha inserito in Costituzione l’impegno ad aderire formalmente alla NATO. (Il che era un fatto ormai compiuto).
Nel 2021 (come era già avvenuto in passato) le forze armate ucraine hanno preso parte, insieme a truppe di vari paesi della NATO, a varie esercitazioni militari nel Mar Nero.
E il nuovo Presidente, l’ex attore Zelensky, - armato anche da Trump - dichiarava intanto di volere riprendere la Crimea.
Dopo un ultimo e vano tentativo diplomatico mirato a ottenere dagli USA e dalla NATO un impegno solenne alla rinuncia di Kiev all’ingresso nell’organizzazione militare atlantica – sdegnosamente e sussiegosamente rigettato dagli occidentali – il 24 febbraio 2022 Putin ha annunciato l’Operazione militare speciale.
La Russia è ufficialmente entrata in Ucraina per risolvere l’annosa questione del conflitto interetnico - per soccorrere cioè le popolazioni russe del Donbass - e per ‘forzare’ un nuovo accordo con Kiev (sulla falsariga dei disattesi accordi Minsk 1 e Minsk 2).
Non a caso, dopo soli quattro giorni dall’inizio dell’Operazione militare speciale (avvenuta dentro i confini dell’Ucraina legalmente riconosciuti) le rispettive delegazioni diplomatiche si sono incontrate in Bielorussia. I negoziati sono poi proseguiti in Turchia, finchè la delegazione ucraina – dietro promessa di sostegno militare e finanziario illimitato da parte dei suoi sponsors della NATO - ha abbandonato i colloqui nell’aprile 2022.
Il punto focale della maturanda relativa bozza di accordo era, ancora una volta, la neutralità militare di Kiev. Ma, evidentemente, i piani della NATO erano altri.
In continuità con la dottrina neo conservatrice, essi sono: sconfitta sul campo dei russi, umiliazione di Putin e messa a rischio della relativa posizione presidenziale; in pratica, sfiancamento attraverso una guerra per procura di uno dei fondatori dei BRICS - ossia il formato di paesi emergenti inviso a Washington.
La questione, riguarda insomma, la rivalità geopolitica fra il blocco occidentale e i paesi emergenti per la distribuzione del potere su scala globale.
Quindi, gli obiettivi connessi e fondamentali della campagna militare russa sono stati e sono, dichiaratamente, la neutralità, la demilitarizzazione dell’Ucraina e la messa al bando dei gruppi politici e paramilitari ultranazionalisti (alcuni, propriamente nazisti).
A tal punto, dopo il ritiro della parte ucraina dai colloqui di pace, è cominciato il vero conflitto. È cominciata la demilitarizzazione del regime di Kiev.
Dopo una fase favorevole alla parte ucraina, la Russia ha annesso quattro regioni dell’est del paese (Zaporizhia, Kerson, Donetsk e Luhansk) sebbene all’inizio non del tutto occupate sul piano militare. (Il completamento, o liberazione dal punto di vista russo, è in corso).
Pertanto, dopo avere saggiato l’indisponibilità della NATO e del suo intermediario armato ucraino a giungere a un compromesso negoziale, Putin ha compiuto un ingente investimento in risorse umane e materiali per il successo militare contro la NATO.
Nel giugno del 2024 il presidente russo ha di conseguenza aggiornato le condizioni necessarie per la stipula di un eventuale accordo di pace.
Vale a dire che, oltre alla soluzione delle cause originarie del conflitto, è venuto ad aggiungersi quale condizione il riconoscimento dei territori conquistati.
Nel mentre, nonostante la continua escalation e l’invio persistente di armi, soldi per centinaia di miliardi di $ (350, pare) e mercenari occidentali a beneficio di Zelensky, specialmente dalla fine del 2023 la situazione al fronte è andata progressivamente e inesorabilmente deteriorandosi per l’esercito di Kiev.
Dunque: posto che le condizioni russe sono logiche, arcinote e di una chiarezza lampante, perché i politici occidentali si attardano a pretendere dal Cremlino un cessate il fuoco e a parlare dell’ottenimento di una pace giusta (giusta secondo costoro) mentre al contempo fanno proclami di invio di truppe, di sostegno prolungato a Zelensky, di riarmo, di pace attraverso la forza e di rafforzamento della posizione negoziale della NATO/Ucraina?
Come pensano di risultare credibili e affidabili mentre il loro unico messaggio – opportunamente decodificato – continua a essere: “vittoria militare a tutti i costi”?
Tra l’altro essi pensano, nonostante tutto, di godere tuttora presso la diplomazia russa (per chissà quale mistero) di una porzione di fiducia. Come se, razionalmente, la loro parola valesse qualcosa.
L’unico leader occidentale il quale poteva sperare che in lui venisse riposto un residuo di fiducia è Trump, ma il suo atteggiamento ondivago, caratterizzato da blandizie e minacce, annunci contraddittori circa invii di armi, ecc., non rende nemmeno egli affidabile.
Quindi, per giungere a conclusione, l’Occidente sconfitto sul campo pretende (in realtà, implorandolo) che Putin conceda almeno un cessate il fuoco, come se si trattasse di un diritto potestativo. Ogniqualvolta – per le ovvie suddette ragioni - il cessate il fuoco viene negato, gli occidentali si indignano e accusano la Russia di non volere la pace (pur sapendo, avendolo sentito fino alla nausea, quali sono le cause profonde del conflitto e non avendo alcuna intenzione di rimuoverle).
Insomma, pretendono un cessate il fuoco senza garantire né cedere nulla in cambio perché continuano ad anelare la vittoria sul terreno. (I bambini delle elementari, in quanto a serietà, saprebbero fare di meglio). Come se la concessione di una tregua fosse un favore loro dovuto da parte di un paese al quale hanno dichiarato inimicizia a tutti i costi.
Ma a Mosca non sono certo sprovveduti. Non cadono nel tranello. Sanno benissimo che Trump e gli europei approfitterebbero di una tregua per riorganizzarsi e dare tempo, fiato e soprattutto armi a Zelensky. Non solo: come ripetutamente detto da Macron e Starmer, il lasso di tempo del cessate il fuoco darebbe l’occasione alla NATO si portare e schierare lungo la linea del fronte un numero imprecisato di contingenti militari ufficiali dei paesi europei – dietro il surrettizio espediente delle forze di pace -.
Il disegno è chiaro: fermare le avanzate russe con lo stratagemma del cessate il fuoco, congelare per qualche tempo la guerra, riarmare, preparare gli ucraini (forse non solo gli ucraini) e, dopo qualche tempo, ritentare un’offensiva che conduca alla agognata vittoria militare sulla odiata Russia.
Per la NATO – fermata nella ormai ex Ucraina - Si tratta anche di una questione esistenziale, così come per le stesse carriere e reputazioni dei politici occidentali – soprattutto per gli europei -.
Un disegno coerente anche con il celebratissimo riarmo europeo, ormai oggetto di una campagna propagandistica sulle maggiori testate giornalistiche, tutte colluse con il potere politico, finanziario e industriale.
Quindi: se i dilettanti politici europei non riconoscono le ragioni1 per le quali la Russia è entrata direttamente nel preesistente conflitto in Ucraina e continuano – contro tutte le evidenze - a declamare propositi di successo, la spiegazione è una sola: erano certi di vincere sul campo ma non hanno fatto una sola previsione giusta. Ora si trovano obbligati a dichiararsi sconfitti, ma non possono ammettere la sconfitta né possono ammettere di avere gettato centinaia di miliardi dei loro cittadini – un investimento colossale – in una causa persa.
Trump avrebbe potuto sfilarsi da questo fallimento, ma indugia.
Deve decidere: è meglio proseguire la strategia dei neoconservatori diretta a sfiancare per via militare la Russia sperando di eliminarla dalla scena internazionale – col rischio di restare coinvolto in una sempre più probabile imminente sconfitta - oppure sedare la situazione, calmare i fanatici governi europei e concentrarsi – come inizialmente sembrava volere fare – nella “ricostruzione” interna degli Stati Uniti?
È da tenere presente che lo stato dell’Ucraina, nei confini riconosciuti al momento della dissoluzione dell’URSS, nel 1991, non è uno stato monoetnico. I confini del 1991 erano stati stabiliti durante l’esistenza dell’URSS, di cui la Repubblica sovietica d’Ucraina era parte. Perciò, ancora nel 2022, vi era una consistente popolazione russa. Il racconto del conflitto è stato, però, generalmente ridotto e semplificato, presentandolo come un’aggressione russa a uno stato sovrano unitario e come se nulla fosse accaduto fino al 24 febbraio 2022.