Trump impone agli europei un aumento delle spese militari fino al 5% del Pil
L’ultimo vertice della NATO, tenutosi a fine giugno a L’Aia, si è ancora una volta distinto per il grado di servilismo dei Paesi europei nei confronti degli Stati Uniti. (Nonostante, stavolta, sieda alla Casa Bianca il disprezzato Donald Trump).
Oltre alla consueta retorica consistente nella ricorrente esibizione di forza (riaffermazione del legame fra i membri della più potente organizzazione della storia), la dichiarazione ufficiale contiene l’impegno comune a investire il 5% del Pil all’anno per la difesa (leggasi, l’organizzazione della rivincita sulla Federazione russa, rea di infliggere un’umiliante sconfitta alla NATO nella ormai ex Ucraina, ossia nel conflitto che la NATO stessa ha provocato).
Il 5% di spesa rispetto al Pil di ciascun Paese membro dell’alleanza, dovrà essere raggiunto entro il 2035 e potrà essere distinto in spese militari di base - 3,5% per il mantenimento delle forze armate e per equipaggiamenti militari, 1,5% per infrastrutture critiche, per reti di difesa, per preparare la popolazione civile e per l’industria della difesa.
Come se non bastasse il vincolo dato dall’appartenenza alla UE, ciascun Paese europeo dovrà ora, ogni anno, presentare alla NATO un piano che dimostri l’incremento della spesa militare teso al perseguimento del mitico 5% del Pil.
Tutto per compiacere il dettato di Washington, la cui amministrazione è evidentemente intenzionata a disimpegnarsi dal teatro europeo e a lasciare la grana dell’Ucraina ai sottomessi vassalli (in particolare Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia, Polonia).
Ipotizzando un tasso di crescita costante pari a quello attuale - 0,7% -, per l’Italia innalzare la spesa militare al 5% del Pil nel 2035 implica portare la stessa a circa 118 miliardi di euro, dai circa 30 attuali (1,5%). Un andamento ascendente di 9 miliardi l’anno.
Una follia, considerato che Roma è già tenuta a operare un consolidamento dei conti pubblici dovuto al nuovo Patto di stabilità europeo. (Entrato in vigore il 30 aprile 2024).
Regole che comportano una riduzione del rapporto debito/Pil pari all’1% annuale, nonchè una riduzione sotto il 3% del rapporto deficit/Pil. (Con un obiettivo dell’1,5% in termini di saldo strutturale).1
È sì previsto il ricorso alla clausola di salvaguardia, ossia la possibilità effettuare uno scorporo della spesa militare dal calcolo del disavanzo pubblico fino all’1,5% del PIL, ma si tratta di una facoltà valida solo per i primi anni dei dieci previsti. Inoltre, dovendo giocoforza aumentare il debito pubblico per venire incontro al vincolo della NATO - che Meloni ha accettato senza fiatare - resta comunque cogente la suddetta riduzione del rapporto debito/Pil.
Per chiudere il cerchio, siccome non è concepibile - anche per ragioni di impostazione culturale della classe dirigente nazionale - che il finanziamento della spesa militare avvenga tramite aumento della pressione fiscale, è verosimile che il riarmo avverrà a scapito della spesa per i servizi pubblici essenziali. (Anche se l’obiettivo della spesa militare al 5% del Pil non dovesse essere centrato in pieno).
Ora, ecco la situazione: la nostra classe politica, al pari di quella europea in generale, si è lasciata trascinare dai neoconservatori americani in una guerra senza uscita. Una guerra per mezzo della quale si pensava di tagliare fuori la Russia dalla scena internazionale per poi passare alla Cina e all’Iran. (Certo, le imprese pensavano di ottenere dei guadagni dall’ingresso dell’Ucraina nel mercato occidentale e dal suo sfruttamento). Insomma, una strategia occidentale di contenimento e azzoppamento dei Paesi emergenti, i BRICS.
Nessuno degli scopi dei governi occidentali si è verificato. La Russia non è stata sconfitta, nè destabilizzata. Putin è rimasto al suo posto.
Dover ammettere di avere sbagliato tutte le previsioni relative all’auspicato successo militare della NATO in Ucraina e dover ammettere la sconfitta metterebbe a repentaglio le già fragili reputazioni di vari governi europei, nonchè le carriere di vari politici. (Oltre ad avere messo in seria difficoltà, rinunciando all’energia da materie prime in precedenza fornite da Mosca, l’industria europea).
Così, essi si trovano costretti a cercare di trascinare all’infinito il conflitto nella ormai ex Ucraina, cercando di tenere a bordo l’amministrazione di Trump, il cui supporto è indispensabile.
Ciò aiuta a comprendere l’incredibile tasso di servilismo degli europei nei confronti di Donald Trump (un personaggio che gli europei del ‘politicamente corretto’ disprezzano profondamente). Fino a subire l’imposizione di un livello di spesa palesemente assurdo e difficilmente raggiungibile, a meno di operare rilevantissimi tagli alla spesa corrente (una politica che rasenterebbe un massacro sociale nei Paesi europei).
Una spesa militare che, da un lato, mira a rivitalizzare la morente industria europea ma che, con tutta probabilità, andrà infine per la gran parte ad alimentare le casse dell’industria degli armamenti statunitense. A riprova della condizione di sudditanza delle cancellerie europee rispetto agli USA.
Nel Piano strutturale di bilancio di medio termine del Governo, il debito in rapporto al PIL dovrebbe crescere di due punti percentuali nel 2025-26 (dal 135,8 al 137,8 per cento), per poi iniziare a scendere e collocarsi al 134,9 per cento alla fine del 2029. Nel 2031, al termine del periodo di aggiustamento, il rapporto tra il debito e il prodotto si dovrebbe attestare al 132,5 per cento. Nello scenario programmatico del Governo, l’indebitamento netto passerebbe dal 3,8 per cento del PIL nel 2024 all’1,8 per cento del PIL nel 2029. Il 21 gennaio 2025 il Consiglio dell'Unione europea ha approvato il piano, con una raccomandazione.